Non è certo una novità ma un trend ormai consolidato: ogni anno in Italia, la produzione e il consumo di Birra crescono con un andamento molto positivo, in controtendenza ad esempio rispetto al mercato del Vino. Nel 2019, per il terzo anno consecutivo in Italia il comparto ha registrato sia un aumento della produzione (+5%) che una crescita nei consumi (+2,6%) e nell’export (+13%). E’ particolarmente significativo il dato relativo al consumo annuo pro capite: nel 2008 era di 29,4 lt, nel 2015 si registrava un incremento contenuto (30 lt), nel 2019 siamo passati a 34,6 lt, a testimonianza dell’impennata dei consumi negli ultimi anni.
La spinta propulsiva è stata data dalle Birre Artigianali, comparse nel mercato da ormai un decennio, diventate un indiscusso fenomeno di consumo e di costume al punto da aver cambiato sostanzialmente le abitudini degli Italiani nonché di conseguenza degli esercizi commerciali (bar e ristoranti in primis) che si sono prontamente adeguati alla differenziazione della domanda.
Le Birre Artigianali hanno di fatto trainato tutto il movimento al punto che nel corso degli anni i grandi player del mercato hanno segmentato la loro offerta per incontrare l’esigenza dei consumatori. Pensiamo ad esempio a quanto fatto da Heineken con i brand Ichnusa, Messina e Birra Moretti. Nel caso di Ichnusa è stata introdotta la versione non filtrata con ottimi risultati in termini di vendite e di consenso. Con Messina è stata lanciata la referenza con i cristalli di sale, con ottime performance commerciali. Per Moretti invece sono nate le versioni regionali legate ai gusti del territorio, nonché quelle vicine alle strutture dei prodotti artigianali (Moretti La Bianca e Moretti IPA).
Le Birre Artigianali hanno rivoluzionato il mercato al punto che i colossi mondiali hanno dovuto rincorrerle. Ma alla fine i benefici maggiori sono ricaduti su loro stessi, causa, ovviamente le dinamiche distributive. Perché se è vero che oggi il consumatore italiano nella propria scelta di acquisto è molto più attento rispetto a 15 anni fa, e quindi è più sensibile alla segmentazione, permane lo strapotere commerciale della GDO rispetto al canale Ho.re.ca e a quello tradizionale, rappresentato dalla vendita diretta dei microbirrifici piuttosto che dai negozi specializzati.
Il mercato della Birra resta sostanzialmente concentrato: i primi quattro player (Heineken Italia, Birra Peroni, AB InBev Italia e Carlsberg Italia) gestiscono circa il 65% delle vendite totali.
Il resto è suddiviso tra i birrifici artigianali (Assobirra stima che siano oltre 850 su tutto il territorio) e le oltre 1.500 marche di importazione, a loro volta distribuite in parte dalle stesse grandi aziende prima citate sulla base di accordi commerciali, in parte dalle filiali italiane delle aziende straniere o da grossisti specializzati.
L’incidenza della GDO nelle vendite resta su valori altissimi, tali da rendere inevitabile porsi la domanda circa quale sia il futuro delle Birre Artigianali.
Hanno rivoluzionato il mercato ma rischiano di rimanere commercialmente al palo, sopraffatte dallo stesso meccanismo virtuoso che loro stesse hanno innescato. Rimarranno per sempre una nicchia commerciale?
La risposta è complessa e in parte dipende dagli stessi Microbirrifici, per i quali il solo accostamento con la GDO viene vissuto molto negativamente in virtù di un purismo lodevole ma commercialmente un po’ miope e lacunoso.
Il Microbirrificio nasce quasi sempre dalla passione per la Birra e per il fascino che permea il prodotto nonché il suo consumo. Aderire alle richieste, alle logiche commerciali ed agli standard richiesti dalla GDO equivale ad un tradimento di questi valori. Tutto ciò ha una sua indubbia etica, insindacabile, rispettabile e doverosamente non giudicabile.
Se però si analizza la questione dal lato marketing, e quindi conseguentemente in merito alla redditività di impresa non intesa esclusivamente come mero profitto ma come logica di crescita, si vedrà che alcune sfumature rendono compatibili i due mondi apparentemente così distanti.
Innanzitutto, con un ragionamento banale quanto semplice e vero, solo incrementando le vendite può proseguire il percorso della passione.
Le vendite debbono produrre reddito destinato in via primaria a coprire gli investimenti necessari per la produzione. Se ciò non avviene non c’è futuro per l’azienda stessa, quindi comunque il problema della distribuzione è cruciale e non può essere affidato a pochi Pub della provincia se l’azienda vuole avere un futuro.
In secondo luogo, destinare parte della propria produzione alla GDO consentirebbe ai Microbirrifici di avere una base economica solida e certa che consentirebbe loro di continuare a sperimentare nuove ricette e nuovi gusti con il resto della produzione, mantenendo viva la passione ed animato lo spirito di fondo.
I prezzi subirebbero delle variazioni? Probabilmente si, a beneficio dei consumatori ed a parziale discapito dei somministratori del canale Ho.re.ca.
Ma attraverso la segmentazione tra produzione in bottiglia e in fusti per la beva alla spina e la sopracitata differenziazione della produzione per la GD e quella per il canale specializzato o per l’Ho.re.ca si potrebbe compensare questo gap, producendo invece meccanismi virtuosi per tutta la filiera. Un po’ come è avvenuto con le aziende vinicole che nella propria gamma presentano vini per la GDO e vini, con caratteristiche differenti e quindi prezzi diversi, per le enoteche e i ristoranti.
Infine, una presenza importante delle birre artigianali in GDO consentirebbe di “rubare” interessanti quote di consumo ad altre bevande concorrenti ma anche di limare progressivamente il gap con le birre industriali, facendo leva sulla penetrazione nelle fasce di consumo ancora non intercettate proprio per la mancanza di un luogo di incontro tra offerta e domanda potenziale. Questo risultato apporterebbe benefici futuri al mondo della birra artigianale che avrebbe così la base economica per proseguire il proprio percorso ricco di spirito e valori verso conquiste sempre più importanti.
L’ottimismo in tal senso deriva dagli ottimi risultati fatti registrare dal comparto export, laddove alcune piccole aziende si sono strutturate anche dal punto di vista del packaging, sia per la tipologia di bottiglia che per la creatività dell’etichetta. Questi fattori, unitamente alla qualità del prodotto, risulterebbero sicuramente vincenti anche in GDO. Occorre crederci con la stessa passione che viene messa dentro ogni singola cotta.